Farsi trovare, farsi piacere, farsi leggere

Valentina Falcinelli

Valentina Falcinelli

Valentina Falcinelli è una professionista del testo. Le dovevo questa intervista perché dopo il mio test sul “coprywater” le sono arrivati tanti di quei messaggi privati che credo mi stia ancora odiando (anzi, lo so). Quindi ne ho approfittato per chiederle di raccontarci cosa fa funzionare davvero una pagina web.

 

Ciao Valentina, ti va di raccontarci i tuoi attuali focus lavorativi?

Ciao Francesco, certo che mi va. Ti rispondo con grande piacere perché sto facendo qualcosa che amo tantissimo – non solo scrivere, ma specializzarmi ancora di più in un ambito ben definito. Negli ultimi tempi ho concentrato le mie energie, i miei studi e il mio lavoro sul tono di voce, un pilastro della brand identity: ho creato dei modelli di studio, degli strumenti da poter usare e far usare; ho studiato e raccolto esempi e tanto materiale di analisi. Ho fatto formazione in grandi aziende e le ho aiutate a trovare la propria personalità attraverso le parole. 

Il tono di voce è un tema che mi sta molto a cuore. Le aziende hanno finalmente capito l’importanza di lavorare sui propri testi, ma ancora non è chiara la differenza tra un testo apparentemente buono e corretto e un “testo che parla”. I testi che parlano aiutano le aziende a comunicare in modo più caldo, empatico e umano. E i brand emozionali sono quelli che, oggi come oggi, si fanno notare, scegliere e ricordare.

 

Per quali tipi di aziende vieni contattata più spesso, per quali meno?

Non lavoro granché con la Pubblica Amministrazione – anche se sono stata contattata per fare formazione ai team di alcuni Comuni – e non mi capita di lavorare spesso con realtà piccolissime e startup (non per scelta personale, però). Lavoro molto con PMI così come pure con grandi aziende. I settori sono tra i più disparati: food, fashion, marketing e comunicazione, viaggi…

 

Un copy deve avere attributi riconoscibili o deve essere trasparente?

Una cosa non esclude certo l’altra. Un bravo copywriter dovrebbe avere il suo stile riconoscibile ma, soprattutto, dovrebbe essere in grado di aiutare le aziende a trovare il proprio. In merito alla trasparenza, be’, questo per me è un tema che molto ha a che fare con l’etica e la professionalità. Ma magari tu intendevi la parola “trasparenza” come “omologazione”, chissà… In questo caso, nessuno – azienda o freelance che sia – dovrebbe essere trasparente agli occhi delle persone. Un brand, perché anche un professionista in fondo è un marchio, deve spiccare e farsi notare. C’è chi lo fa scegliendo un’immagine dirompente e innovativa (vedi Che Banca!), chi un tono di voce riconoscibile (vedi Ceres sui social): di modi ce ne sono tanti. Di voglia di osare, sperimentare, uscire un poco dagli schemi oppure crearne di nuovi, be’ forse ce n’è poca.

 

Hai colto poi la differenza tra CopryWater e copywriter? Come ti poni rispetto ad essa?

Per giorni ho ricevuto email, notifiche su Facebook, messaggi privati di persone che mi segnalavano il tuo articolo. Io, ovviamente, nemmeno per un secondo ho dubitato del fatto che si trattasse di un test; persino nei primissimi momenti. Detto ciò, penso sia giusto farti sapere che t’ho odiato. Scherzi a parte, penso che il tuo esperimento ci abbia dato modo, a tutti o almeno a molti di noi, di ragionare su almeno tre cose:

1) il gioco di parole coprywater/copywriter ha sfagiolato da un po’, ma fa sempre leva;

2) stiamo tutti là col mitra spianato, pronti a cogliere in fallo il primo professionista (o la prima azienda) che sembra aver commesso un errore. Un atteggiamento che, sempre più, mi risulta indigesto;

3) Google forse non è così “intelligente” come crediamo.

Questo non vuol dire però che t’abbia perdonato per le mille notifiche di quei giorni. Eh eh.

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Cosa serve a una pagina web per funzionare davvero?

Cosa intendi con “funzionare”? Per me una pagina web funziona quando converte. Quando chi l’ha letta pensa: “Questa (azienda/persona) è quella giusta per me. Me lo sento”. E chiama, o scrive, o manda un fax, un piccione viaggiatore, un segnale di fumo, un poke… Il fattore “conversione”, però, è solo la punta dell’iceberg.

Una pagina web, per funzionare, deve prima farsi trovare, poi farsi piacere, poi leggere e quindi portare al contatto:

Per farsi trovare bisogna lavorare sul testo, sui topic, sulle keyword, sugli user intent, sulla SEO in generale. Su cose che spieghi meglio tu della sottoscritta, anche con i tuoi copry-esperimenti.

Per farsi piacere bisogna lavorare sul content design, ovvero sull’aspetto estetico della pagina (formattazione, font, colori, titoli, elenchi, immagini, spazi…).

Per farsi leggere bisogna lavorare sulla chiarezza, sull’utilità, sul tono di voce, sulla fruibilità del messaggio. Sul copy, in buona sostanza.

Superati gli ostacoli della serp, del gradimento, della lettura dobbiamo sperare di arrivare al cuore del lettore, dobbiamo augurarci di essere stati così bravi da averlo persuaso a contattarci. Ecco: per me una pagina che funziona è frutto di un lavoro che si deve svolgere, per forza di cose, su più livelli.

 

Consigli per diventare copyrighter? 😀

Maledetto! 😉

Be’, uno ce l’ho: iscrivetevi alla prossima edizione di Copy42 (coming soon). Tiè.

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