La scienza dello storytelling

Andrea Fontana

Andrea Fontana

Andrea Fontana è uno dei più eminenti studiosi italiani in campo di storytelling. Docente all’università IULM e a quella di Pavia, ha introdotto il primo corso di specializzazione in storytelling, oltre che il primo Master Universitario in Scienze della Narrazione applicato al Marketing e alla Comunicazione.

Ammonisce dal pensare alle tecniche di narrazione orientate al business come a una moda, perché dietro ci sono anni di studi e pratica nei campi più disparati.

 

Ciao Andrea, ti va di raccontarci i tuoi focus attuali?

In questo periodo ci sono due grandi temi su cui sto lavorando:

  • il tecno-inconscio: cioè la mole di informazioni e narrazioni che lasciamo in rete senza esserne consapevoli, che se ricostruite in un certo modo, generano identità narrative di noi;
  • la post-verità intesa come costruzione consensuale di significato (indipendente dai fatti) di cui i social media e la rete sono ormai colmi.

Poi, sono molto impegnato a diffondere le “scienze della narrazione” e istituzionalizzarle per il valore sociale, politico ed economico che credo abbiamo per tutti noi.

Da questo punto di vista ho cercato di istituzionalizzare due percorsi professionalizzanti in Italia:

  • All’Università di Pavia dove ho avuto la possibilità – insieme ad altri colleghi – di creare recentemente il primo Master Universitario in Scienze della Narrazione applicato al Marketing e alla Comunicazione: MUST – Martketing Utilities and Storytelling Techniques  

 

Il termine storytelling viene ampiamente utilizzato negli ultimi anni, forse anche abusato. Non sarà una moda?

Sapere le tabelline è una moda?

Hai ragione oggi il termine è sicuramente abusato, ma non per questo non essenziale. Personalmente credo che lo storytelling sia una life skills, cioè una competenza di vita, come leggere e scrivere o far di conto… In un mondo sempre più polarizzato, dominato da dinamiche di narrazione e ossessionato dalla necessità di raccontarsi per avere visibilità conoscere le tecniche narrative è e sarà sempre di più una questione vitale.

 

C’è un confine tra storytelling e narcisismo? Ci si può confondere?

Come avrai capito per me lo storytelling è una scienza. C’è una metodologia, ci sono competenze, ci vogliono anni e anni di studio e pratica per imparare a farlo. Se tratti lo storytelling così non c’è nessun pericolo, perché acquisti l’umiltà del ricercatore e dell’esploratore che conosce i suoi limiti ma ama avventurarsi in nuovi orizzonti conoscitivi. Se invece tratti lo storytelling come banale ricetta “imparata on line” da qualche sedicente esperto e pensi che raccontarsi significhi dire delle cose di te al mondo su qualsiasi canale allora sei in grave pericolo di narcisismo patologico.

 

Ci sarà un caso in cui lo storytelling è addirittura controproducente?

Assolutamente sì, quando è fatto da persone senza competenze e senza anni di pratica alle spalle. Quando è un’etichetta dichiarata solo perché è un termine che oggi vende.

Altro caso in cui è controproducente è quando non conoscendo bene i limiti e le possibilità della disciplina non sei pronto come individuo o organizzazione a spingerti davvero nella narrazione che hai deciso di costruire per te e per gli altri. Le narrazioni non sono mai neutre, se inizi a raccontarti in un certo modo devi essere autentico e coerente con il tuo racconto anche nelle tue azioni. La cosa peggiore che potresti fare è iniziare un racconto e poi mollare.

 

Come useresti lo storytelling per un’azienda di pompe funebri?

Non lo so. Non mi è mai capitato. Forse in questo caso il miglior racconto e comportamento possibile è il silenzio rispettoso del dolore, del lutto e della mancanza di un affetto.

 

È più difficile fare storytelling per un’azienda o per un freelance? E perché?

Ci sono difficoltà in entrambe i casi, con livelli diversi però.

Il maggior problema del free-lance per esperienza sono le risorse, non solo economiche ma anche organizzative. Cioè come individuo dipende dove vuoi arrivare con il tuo racconto, cosa ti serve, quanto tempo ti dai, etc. Fare storytelling da soli è complicato occorrono tantissime skills: strategiche, contenutistiche, visuali e persino di media design. Per questo ho creato i due percorsi professionalizzanti e accademici di cui ti parlavo prima; perché occorrono svariate abilità che bisogna apprendere.

Per una organizzazione invece il problema è stabilire la ownership del racconto. Cioè di chi è? Chi parla al pubblico e perché? Chi sta raccontando? È importante fin dall’inizio stabilire la “proprietà” di un racconto perché quando una organizzazione si narra muove un pubblico e poi il pubblico, giustamente, chiede riscontro. In quel momento ci deve essere una responsabilità, una faccia, una voce… insomma: una presenza che risponde con puntualità e chiarezza.

Rispondi all'articolo

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


The reCAPTCHA verification period has expired. Please reload the page.