Cosa rende le foto speciali in una strategia di comunicazione?

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Andrea Antoni

Andrea Antoni è grafico freelance, graffiti-writer e street-artist, ma svolge anche un intensa attività come blogger ed è ex Local manager della community degli instagramers del Friuli Venezia Giulia (@igersFVG). Con lui si è parlato di questo maggico maggico mondo dell’immaggine!

 

Qual è l’errore che più di ogni altro ti ha insegnato qualcosa sul tuo lavoro?

Fidarmi degli altri andando contro ad un mio ipotetico sesto senso (che non esiste, o almeno nella mia visione delle cose no). Quando un presunto cliente mi contatta, a sensazione capisco abbastanza bene se il lavoro andrà in porto, se ha intenzione di pagare o altro. Ci sono stati alcuni casi in cui delle persone in questione non mi fidavo assolutamente ma, alcuni miei amici, mi hanno fatto cambiare idea adducendo alle loro tesi visioni perbeniste dell’umanità. Il risultato è stato che sono stati gli unici lavori che non mi sono stati poi pagati. Colpa mia per vari motivi, ma mi ha insegnato a fidarmi di me stesso e basta, che non è bellissimo in ottica social, ma è molto concreto in ottica di sopravvivenza.

 

Il titolo del tuo libro è “Trova la tua identità su instagram e condividi foto uniche”. Ma cosa rende le foto così speciali all’interno di una strategia di comunicazione?

La foto è speciale (al netto delle competenze tecniche) quando hai qualcosa da raccontare e sei un’eccellenza nel campo su cui verte la tua storia. Il problema dei social network a mio avviso è questo: le persone vogliono diventare influencer e spesso lo diventano, ma non hanno nulla su cui influenzare. Non hanno nulla in realtà da raccontare. I loro profili instagram, ma vale anche per twitter, facebook e qualsiasi piattaforma si voglia prendere in considerazione, sono degli splendidi simulacri pieni di nulla. Tecnicamente perfetti, concretamente vuoti. Hanno copiato l’identità di qualcuno che aveva realmente qualcosa da dire, l’hanno replicata e hanno ottenuto consensi. Ma sono consensi ottenuti sul nulla, un poco come quando a scuola prendevi otto imparando la lezione di storia a memoria ma non ci avevi capito in realtà una fava e il giorno dopo ti eri dimenticato tutto. C’è chi è influencer essendo se stesso, e questo è il vero influencer, e chi lo vuole diventare -magari lo diventa- ma non vale niente. Per questo trovare la propria identità secondo me è fondamentale, nella vita prima che nel “fuffoso” Instagram.

 

Ci sono settori, come il food, il fashion e l’handmade che spopolano su instagram. Secondo te una ditta di pompe funebri potrebbe avere lo stesso successo di una fashion blogger?

Potenzialmente tutti abbiamo una storia da raccontare, il problema è che spesso fa schifo, o che non interessa a nessuno, facciamocene una ragione. Lavoro come grafico e non come esperto di marketing, ma ci sono comunque sfumature della comunicazione che mi sono oscure. Credo di sapere a quale case history ti riferisci e il mio punto di vista è che puoi avere di certo risonanza e ottenere dei like, ma poi bisogna vedere quanto monetizzi. Immagino che una ditta di pompe funebri abbia il suo territorio di azione nel quale ha già i suoi clienti più o meno fissi (alla morte non si scappa) e non credo che una persona che abita a centinaia di km di distanza possa sceglierli dopo averli visti sui social. Se la campagna invece punta a scalare il mercato in una zona specifica e circoscritta invece magari può funzionare.
Va molto di moda vendere fuffa dicendo che “bisogna essere presenti sui social” ma secondo me non è vero, o almeno non per tutti. Chi ha realmente bisogno che tutti siano presenti sono le persone che vendono i propri servizi per gestire le pagine o creare campagne pubblicitarie, per il resto io vedo tantissime persone e aziende che vivono e prosperano benissimo senza cazzeggiare al computer.

 

Oltre a fare il blogger e il grafico sei anche uno street artist, mi invii una foto di un tuo graffito? O anche una con l’espressione più intelligente che riesci a fare? scegli tu.

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#Catzapproved

In realtà io nasco come graffiti-writer che nel tempo ha assunto competenze da grafico e blogger per spingere la propria attività su parete. Il termine street artist è una parola fighetta che è entrata nel parlare comune ultimamente, ma che detesto seppur talvolta uso per facilitare la comprensione di quanto faccio. Resta il fatto che è errata applicandola alle mie attività. Ho dipinto graffiti in tutta Italia e in alcuni stati esteri, negli ultimi tempi sto diminuendo la mia produzione perché alla tossicità degli spray ho iniziato a preferire l’aria salubre del mare uscendo con il mio stand up paddle.

Ti invio il graffito #catzapproved che non è una delle mie opere migliori, ma sui social ebbe particolare successo.

 

Giura di dire tutta la verità, solo la verità, nient’altro che la verità! Hai mai pensato di scattarti una foto in bagno davanti allo specchio a torso nudo di prima mattina per poi pubblicarla su Instagram?

Certo che si, ma non per pubblicarla su Instagram perché sarebbe fuori dal contesto della mia gallery: non pubblico praticamente mai nemmeno selfie. Avessi un fisico decente lo farei senza problemi: essendo grasso e peloso tendo ad evitare di imbruttire il mondo (e perdere followers) condividendo le mie brutture genetiche esaltate dalla mia pessima dieta.

 

Una domanda che faccio un po’ a tutti e che vorrei proporre anche a te. Qual è il tuo messaggio alla nazione?

Smettetela di fare i finti amici di tutti sui social network salvo poi infamarvi alle spalle. Smettiamola di rispondere bene a tutti anche nei casi di troll e persone che non danno rispetto e quindi non ne meritano. Iniziamo a giocare a carte scoperte e delineare i rapporti in modo più chiaro: non dico debba essere tutto bianco o nero (cosa in cui io sono bravissimo) ma bisognerebbe applicare almeno qualche sfumatura di grigio (non cinquanta, per l’amor del Cielo). Tutto è riportabile al marketing e al proprio tornaconto, è vero, ma il potere curativo di un bel V********* è una di quelle soddisfazioni che poche altre cose possono darti nella vita.

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