È giusto condividere tutto quello che impari?

Ho una confessione da farti, a me piace divulgare le cose che studio e cerco di farlo quando ne ho modo, però non dico tutto tutto. Mi dirai che è normale, e in effetti lo è, tuttavia mi sento un po’ sconfitto perché non so trasmettere quel che imparo in modo completo. Non mi resta che continuare a provare, magari intanto ti spiego perché non riesco a fare comunicazione come vorrei.

condividere conoscenza

condividere conoscenza

 

La premessa doverosa è che la platea degli “ascoltatori” è composta da alcune persone molto sveglie, tante persone mediamente accorte e una moltitudine inenarrabile di utenti che contribuiscono ad alimentare il business della distrazione, raccogliendo informazioni sulla SEO con un occhio ai video di Montemagno e l’altro a quelli coi Gattini.

 

Condividere cose semplici

Capita che qualcuno ogni tanto mi scriva per dirmi grazie, perché un mio articolo gli è stato utile per risolvere un problema, poi capita che qualcun altro mi contatti per farmi domande la cui risposta è su Google dal 2008. Se in questo passaggio puoi intravedere l’esistenza di velocità diverse nell’approccio alla risoluzione di problemi, questo tipo di feedback mi ha fatto capire che per ampliare la platea delle persone raggiungibili è meglio condividere cose semplici.

Ad esempio, ne parlavamo con Riccardo Esposito qualche giorno fa, l’idea che aggiornare la data di pubblicazione di un articolo ne produca una spinta verso l’alto nelle pagine di risposta di Google, è molto semplice sia da comunicare che da capire. Non c’è niente di tecnico o particolarmente complesso nel dire alle persone che invece di scrivere 1.000 articoli tutti uguali se ne possono avere 200 da riaprire, aggiornare e “ripubblicare” periodicamente. La pratica è virtuosa perché intanto si evita di annacquare la tematicità di un sito web che NON deve parlare di qualunque cosa, poi perché affrontare un argomento con pochi articoli mirati consente di consolidare i segnali in ingresso  – i link, le condivisioni – verso poche pagine a tema, senza disperderli nel mare dei contenuti di un sito privo di piano (e progetto) editoriale.

Come scrivevo, non è difficile, eppure tante persone continuano a fare le stesse domande. E non parlo di utenti nuovi.

 

Utenti distratti e mastini sempre sul pezzo

Condividere tutto non sarebbe dunque un problema, perché tante persone non colgono lo spunto, ma percepiscono solo il messaggio divulgativo, quello che per capirci ti referenzia e ti accredita come fonte autorevole. Insomma, condividere fa bene al branding, di contro, quelli che tengono tutto per sé spesso ne sanno meno di chi condivide e partecipa, proprio perché non si confrontano, se non per ostentare di sapere qualcosa che però non hanno in animo di dirti… cafoni!

[adrotate banner=”1″]

Il problema è che a conti fatti puoi condividere solo cose pratiche, concrete. Come si fa questo, come si fa quello. Sarebbe invece bello poter condividere il mindset che ci porta a scegliere una soluzione piuttosto che un altra. È questo il mio più grande rammarico: non solo per raggiungere più persone sono costretto a scrivere cose molto semplici, ma ciò che fa veramente la differenza in termini di risultati, vale a dire l’approccio alle cose, rimane praticamente incomunicabile al di là di una frequentazione stretta. Significa che fin quando non ti siedi di fianco a un SEO e lo guardi lavorare non potrai mai capire altro che ciò che fa, mentre sono il come e soprattutto il perché a fare la differenza tra una persona che studia e un professionista.

 

Condividere se stessi

E dunque faccio un appello ai big, ai guru e a chiunque divulghi in generale. Intanto grazie, perché il vostro lavoro ci aiuta, ma se posso farvi un invito nel mio piccolo, raccontateci anche altro, magari provate a mostrarci meno cose e più ragionamenti, anche extralavorativi. A cosa pensa Paneghel mentre è in coda alla cassa del supermercato? E Altavilla, cosa farà il sabato mattina? Sembrano argomenti strani da discutere per chi si interessa di web marketing, ma secondo me è questo il passaggio da recuperare nella comunicazione digitale.

Giacché siamo alla convivenza forzata, smettiamola di raccontarci sempre le stesse storie. È l’unica alternativa che ci rimane per sopravvivere in questo mondo fatto di scimmie ammaestrate.

Rispondi all'articolo

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


The reCAPTCHA verification period has expired. Please reload the page.