Cosa sono i Big Data e a cosa servono

Elisa Iandiorio

Elisa Iandiorio

Cosa sono i big data, a cosa servono, come si raccolgono e in che rapporto sono con le buyer personas rispetto alle logiche di business che stanno dietro alla gestione di un CRM per finalità di marketing.

Un sacco di ottime domande per una professionista come Elisa Iandiorio, Big Data Manager e consulente marketing e autrice di un interessantissimo libro sui big data, edito da Flaccovio.

 

Ciao Elisa, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi? 

Ciao a voi e grazie per aver pensato a me per questo spazio.
Attualmente sto focalizzando il mio lavoro da un lato nella continua formazione manageriale sulla “cultura del dato come fonte strategica di business” e dall’altro su progetti di crescita come professionista e come studio professionale di consulenza. Il primo punto lo ritengo fondamentale per il nostro Paese dove spesso nelle aziende manca proprio la concezione del dato come valore di marketing e di business, senza questa cultura non si può parlare di digital transformation, di strategie di marketing, di sviluppo e crescita, è come se si costruisse una casa partendo dal tetto. Il secondo punto è un progetto partito da lontano che passo dopo passo si sta concretizzando in qualcosa di importante, partendo dal fatto che non sarò più da sola ma affianco a me avrò altri professionisti di rilievo nel loro campo, ma non posso fare troppo spoiler ancora. J 

 

Domanda secca, cosa sono i big data e a cosa servono? 

Non esiste, ad oggi, una definizione univoca e universalmente riconosciuta per i big data. Possiamo sicuramente dire che sì, sono un’enorme mole di dati, ma questa non è una condizione sufficiente per definirli; per esserlo devono essere generati da strumenti, tecnologie e macchinari di ultima generazione. Questi strumenti sono necessari per estrarli, organizzarli e processarli in modo analitico, così da ricavarne predizioni di business perfino in tempo reale e direttamente collegate: 

– al comportamento dei consumatori oltre che alle loro caratteristiche, – al rischio,
– al profitto,
– alle performance dell’azienda. 

Come ho detto sopra, non esiste una definizione universalmente riconosciuta di big data, ma ne possiamo utilizzare una quando parliamo degli aspetti che li caratterizzano e che in fondo li definiscono. Risulta infatti, necessario far riferimento al modello delle “tre V” dei big data, formulato da Doug Laney nel 2000. Il modello nel tempo ha subito delle variazioni, ma il concetto originale, quello che fa riferimento a volume, velocità e varietà dei big data rimane alla base della definizione. 

 

Come si raccolgono i big data? E come si da senso al dato grezzo? 

Ci sono varie fonti da cui si possono raccogliere i Big Data, riconducibili a 4 macrocategorie: 

  • –  I dati derivati dal web: quindi dall’analisi del comportamento dell’utente/consumatore sui siti aziendali, sui blog, sui social network;
  • –  I dati esterni: ovvero quei dati che vengono definiti come Open Data, accessibili a tutti (ad esempio questo è uno dei principali siti italiani fonte di open data https://www.dati.gov.it/ )
  • –  I dati derivanti da CRM e da altri sistemi INTERNI
  • –  I dati che nascono dalla “smartizzazione” degli oggetti e dal fenomeno definito
    “Internet of Thing” (IoT)

  

Ovviamente da ogni singola fonte possono essere estratti tantissimi dati, che sono grezzi e da soli non ci dicono nulla. Per trasformare il dato in informazione e in conoscenza, quindi dargli un senso di business, bisogna in primis definire qual è l’obiettivo della nostra analisi di big data, a quel punto si individuano le varie fonti in cui reperire i dati, di seguito questi vengono integrati, organizzati e sistematizzati e da qui possiamo ricavarne informazioni strategiche di business. 

 

Qual è il rapporto tra big data e buyer personas? 

Molto semplice: con i big data possiamo definire o approfondire ulteriormente le nostre buyers personas. Tutti gli strumenti on line che ci forniscono dati sugli utenti sono fonti di Big Data, sta a noi integrarli insieme e lavorarli per ricavarne il profilo dei nostri clienti tipo. Certo con il grande cambiamento successivo all’aggiornamento Apple di IOS 14.5 e tra poco anche quello di Google su Google Chrome – che permetterà il tracciamento dei Cookie di terze parti solo previo consenso dell’utente – l’individuazione degli utenti e l’analisi del loro comportamento sarà forse più complessa. Ma da alcune analisi sul tracciamento si è scoperto che Facebook, ad esempio, in alcuni settori cruciali (es. ambito sanitario) non ha utilizzato cookie di terze parti, sostituendoli invece con cookie di prima parte combinati con un tracker di pixel, riuscendo così a superare questo ostacolo. 

 

Quali business si avvantaggiano maggiormente dell’analisi sui big data?

In realtà qualsiasi business voglia lavorare in maniera strategica ottimizzando tempi e investimenti. Non c’è un settore in cui i Big Data possono avere più appeal o dare più valore, in questo senso sono molto democratici e vanno bene per tutti i settori e per aziende di qualsiasi dimensione. Anche un libero professionista può trarre enorme vantaggio dai big data; ovvio che più abbiamo di fronte un’azienda strutturata, di grandi dimensioni, con diversi strumenti, più abbiamo la possibilità di trarre vantaggio da questa tecnologia. 

 

I big data possono avere una funzione predittiva sull’evoluzione di un certo mercato? 

Assolutamente si, anzi questa è una delle loro funzioni principali. Ci sono poi ovviamente vari livelli e tipologie di analisi predittive, ma basta pensare che uno dei primi settori ad utilizzare analisi di questo tipo è stata la meteorologia per capire quanto la loro funzione predittiva sia tra le caratteristiche più importanti. Attenzione però, se è vero che i numeri ci dicono sempre la verità, è pur vero che riguardano “gli esseri umani” che hanno quella bellissima caratteristica che si chiama imprevedibilità. Stessa caratteristica che in generale ha il sistema in cui viviamo, basta pensare all’ultimo anno appena trascorso: nel dicembre 2019 niente e nessuno, neanche l’algoritmo più avanzato e sofisticato avrebbe potuto prevedere quello che sarebbe successo e tutte le ripercussioni economiche e sociali che ancora ad oggi non possiamo conoscere in pieno. 

C’è qualcuno poi che l’analisi predittiva l’ha usata per scopi più ludici e divertenti, come gli studenti dell’Università di Monaco che nel 2016 hanno elaborato un algoritmo predittivo basato sui libri e sulla Serie TV di Game of Trone per predire la percentuale di sopravvivenza dei personaggi, se sei curioso trovi tutti qui:

https://got.show/machine-learning-algorithm-predicts-death-game-of-thrones 

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