Lavorare sul web da nomade digitale

Jonathan Pochini

Quella del “nomade” è una figura che mi affascina profondamente. La condizione paradossale in cui io stesso mi ritrovo è quella atipica del nomade di Zygmunt Bauman. Non mi sento nomade perché lavoro spostandomi, ma perché ho meno punti fermi rispetto ai miei vecchi compagni di liceo che oggi fanno i medici o gli avvocati.

Lo stesso Jonathan Pochini mi ha confermato che l’essere nomadi digitali è un fatto di mentalità e non una condizione comprovabile, quindi la questione si complica. Ma andiamo con ordine e partiamo dalle risposte di Jonathan, che ringrazio per la disponibilità.

 

Ciao Jonathan, ci descrivi i tuoi attuali focus lavorativi?

Da quasi 2 anni ho iniziato a dire di no ai nuovi clienti (uno dei più grandi e inconsapevoli tabù di un freelance secondo me 😀) e a dare la priorità a miei progetti personali.

Di più: invece che disperdermi in 3000 progetti, come ho sempre fatto, mi sono imposto di lavorare su un unico progetto e portarlo fino alla fine. Entrambe cose che non avevo mai trovato il coraggio di fare prima. 

E quindi oggi, nell’attraversare questo processo da Consulente SEO Freelance a “Digital Entrepreneur“, ho scoperto che ci sono un sacco di cose che non so e che devo studiare e un sacco di competenze che non ho e che devo acquisire.
È stato un po’ un bagno di umiltà dopo oltre 13 anni che lavoro ufficialmente nel web.

 

Cosa significa essere “nomadi” e quante tipologie ne conosci?

Innanzitutto invito tutti a non farsi fregare dalla definizione di “nomade digitale” (o da qualsiasi altra definizione, a dirla tutta).

Altrimenti si finisce per farsi domande tipo:

  • «Ma se viaggio per X mesi e poi sto fermo per 12-X mesi l’anno… mi posso ancora definire “nomade digitale”?»
  • «Ma se ho fatto il giro del mondo lavorando con il mio laptop, ma ora preferisco lavorare in pigiama dal salotto di casa… ?»
  • «Ma se faccio le vasche tra Italia e Thailandia… ?»
  • «Ma se le faccio tra la fredda Milano e la mia amata Puglia… ?»
  • etc.

La tecnologia ci dà la libertà di vivere e lavorare dove ci pare.
Consideriamo dunque (invito mio) il “nomadismo digitale” piuttosto una “mentalità” che ci fa sentire particolarmente comodi con questa libertà.

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All’atto pratico questo si traduce in un ampio spettro di possibilità: 

  • Da chi viaggia di continuo a chi sta relativamente stabile (ma all’occorrenza può portarsi dietro il lavoro).
  • Da chi campa offrendo servizi online (da freelance ma anche da dipendente) a chi ha costruito un proprio (fiorente o meno) business online.
  • Da chi si appassiona al proprio lavoro a chi lavora il meno possibile per godersi la vita (o per dedicarsi ad un altro obiettivo personale).
  • Da chi realizza il proprio “business a 6 cifre” a chi apre scuole non a scopo di lucro in Vietnam (o fa entrambe le cose).

 

Quali sono i mestieri più comuni tra i nomadi digitali? Lavorate tutti in comunicazione?

Vedi i risultati del sondaggio: https://www.facebook.com/groups/nomadidigitaliitaliani/permalink/2663640310399145/

Per chi non è nel gruppo riassumo i risultati più significativi: 

  • Professioni del web (Web developer/designer, content manager, social media…);
  • Professioni della scrittura (webwriter, copywriter, editor, ghost writer, scrittori…);
  • Digital Entrepreneur (ecommerce, infoproducts, business online…);
  • Consulenti Web Marketing, SEO, PPC;
  • Traduttori;
  • Insegnanti;
  • Assistenti virtuali;
  • Video maker/editor;
  • Affiliate Marketer;
  • Blogger;
  • Traders;
  • Consulenti vari;
  • e diversi altri ancora…

Tecnicamente qualsiasi lavoro si svolga davanti a un computer può essere fatto da remoto. Tutto il resto è spesso solo una questione culturale (es. il capo che ti vuole in azienda per controllarti).

 

Perché accidenti si diventa nomadi? Sentite una specie di chiamata?

Sono sicuro che non si può generalizzare neanche in questo caso. Ognuno trova la propria strada in una gran varietà di modi (non c’è nessun segreto, nessuna ricetta, nessuna “guida definitiva”).
Io la mia chiamata l’ho sentita prima che si diffondesse il termine “nomade digitale” ed è stata una chiamata che mi ha portato (era il 2009) ad andare dall’altra parte del mondo ad esplorare la possibilità di un’altra vita in Australia… più da “expat” che da nomade digitale. È stata una chiamata determinata da tanti fattori ma per sceglierne uno: una disperata voglia di una “botta di vita”.

Se posso scegliere il secondo: la frustrazione nei confronti di una situazione economica e politica italiana che sembrava non aver nessuna intenzione di cambiare.

 

Quali sono per te i problemi della vita? È in generale per i nomadi?

Immagino che per tutti noi, nomadi e “stanziali”, valga un po’ un qualcosa che ricordi la famosa piramide di Maslow.
La descriverei così: 

  1. una volta che i bisogni primari sono soddisfatti, si gode di buona salute e ci si sente ragionevolmente sicuri anche dal punto di vista economico…
  2. emergono i desideri di realizzazione professionale, personale, sentimentale.
  3. Nei (rari) momenti in cui ci si sente sufficientemente soddisfatti anche di questi si potrebbe scoprire con una certa sorpresa che quello che rimane è un sereno desiderio di “dare un proprio contributo”… ai propri cari, agli altri e al mondo.

Bisogna ammettere che gli esseri umani non sono poi così stronzi come vengono dipinti. 🙂

I nomadi (o alcuni nomadi) forse sono un po’ più agevolati in questo percorso, in quanto potrebbero aver allenato qualche competenza interessante come ad esempio la capacità di lasciare il certo per l’incerto, quella di emanciparsi più facilmente dalla pressione dei pari e una certa “apertura mentale” che deriva forse dall’incontro con l’altro, dal viaggiare (spesso in solitaria) in un paese straniero.

Ma non è detto: possiamo trovare dei gran caproni anche tra i nomadi digitali. 🙂

 

C’è un’età o delle precondizioni particolarmente utili per cominciare a girare?

Io stesso ho un’età anagrafica che non è più in sintonia con quella che “dice il mio cuore”. Ma abbiamo “nomadi” che hanno superato i 50, altri a cui non mi azzardo a chiedere l’età.
Meglio ancora: qualcuno ha proprio iniziato dopo i 50 a girare il mondo e in un paio d’anni ha visto più paesi di quanti ne abbia girati io in tutta la mia “carriera” (ma io non sono poi un gran girellone).

Quindi la morale è: non è mai troppo tardi… e meglio tardi che mai!

Ma come accennato sopra è probabile che uno debba affrontare alcuni limiti o mettere in discussione “certezze di vecchia data”.

Anche se ho sentito sostenere che “lavorare da bordo piscina è diventato il sogno dell’italiano medio”, secondo me “diventare nomade digitale” (il quale – contrariamente al pregiudizio – preferisce lavorare comodamente davanti a una scrivania) contempla sempre un certo distacco da quelli che sono i “pacchetti” fortemente consigliati dal nostro “ambiente”.

Permettimi di essere crudo:

  • Uno si chiama “Produci-Consuma-Crepa” (cit.).
  • L’altro “Studia-Lavora-Vai-in-pensione…”.

Ma non fraintendermi: uno nella propria vita può trovare la propria missione nelle cose più semplici e naturali come ad esempio tirare su una famiglia, dedicarsi ai propri figli, fare del proprio lavoro (qualsiasi esso sia) il più prezioso servizio da dedicare agli altri (ma giusto per non nutrire ulteriori pregiudizi: abbiamo nomadi single, accoppiati e con famiglia).

Ma ci sarà sempre qualcuno che non si sentirà a proprio agio in quei “vestiti” (o non si sentirà a proprio agio… in certi momento della vita).

Ho l’ambizione di pensare che è a queste persone che il gruppo “Nomadi Digitali Italiani” sarà più prezioso. Per dimostrare loro che un’altra vita è possibile. Per farli sentire meno soli.

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