Parliamo di Growth Hacking con Luca Barboni

Luca Barboni

Luca Barboni

Luca Barboni, imprenditore, Public Speaker, Growth Hacker. Autore del 1° libro italiano sul Growth Hacking. Founder & VP of Marketing @ 247X, l’unica agenzia italiana partner di GrowthHackers.com. #500strong

Oggi parliamo di un argomento talvolta frainteso, che tuttavia in questi tempi pare davvero essere l’ultima speranza per uscire dal torpore in cui siamo stati cacciati dal proliferare di nuove routine, nuovi software, novo tutto. Quando le “novità” sono tali da immobilizzarci, è il momento di fare il punto su come usare meglio quel che si ha già sottomano per far girare le cose.

 

Ciao Luca, ci racconti i tuoi attuali focus lavorativi?

Ciao!

In quanto Founder di 247X faccio… tutto quello che serve per rendere felici le persone che ci lavorano dentro 😀

In questo momento sono responsabile di due aree che riguardano i pilastri della nostra Growth Hacking Agency: i clienti e i talenti.

Da un lato sono responsabile degli OKR (obiettivi e risultati chiave) di generazione contatti dell’azienda. Ovvero quelle attività che ci permettono di generare il numero di nuove call conoscitive che ci serve per raggiungere gli obiettivi commerciali ogni mese.

In particolare nell’ultimo periodo mi sono dedicato molto alla creazione di contenuti sul Growth Hacking sul nostro canale Twitch e Youtube, veicolandoli attraverso il nostro canale Telegram.

Dall’altro gestisco un progetto interno chiamato “247X Associate Program”, che potremmo riassumere in “Vieni pagato per imparare il Growth Hacking”.

Selezioniamo delle figure junior che passano 3 mesi (pagati) con noi attraversando un percorso di formazione ma anche svolgendo task a supporto dei nostri growth hacker, che diventano loro mentor. Al termine del percorso tutti hanno l’opportunità di fare un colloquio con noi e i più promettenti vengono assunti.

Oltre a 247X, che occupa il 99% del mio tempo, non riesco comunque a stare fermo e mi dedico a progetti personali tra cui un side business media, corsi di formazione, sviluppo videogiochi indie e qualche advisorship a startup quando capita.

 

Growth hacker si nasce o si diventa?

Fa ridere perchè questa domanda corrisponde al 100% al titolo della prefazione di “How to be a LinkedIn Hero”, che ho scritto assieme al mio socio Roberto Verde.

Riassumendo: sì e no.

Innanzitutto ridurrei la domanda da “Growth Hacker si nasce o si diventa” a “Hacker si nasce o si diventa”.

Perché chiunque può fare esperienza in azienda, studiare il processo, studiare il marketing, e apprendere la parte “Growth”.

Altra cosa è possedere un’attitudine verso quel pensiero creativo e laterale che ti permette di -hackerare- i problemi, e farlo sistematicamente.

Sia chiaro: quando parlo di “hacker” in senso lato non intendo un nerd che compie crimini informatici.

Un hacker è semplicemente un problem solver compulsivo. Qualcuno che sperimenta una botta di dopamina nel momento in cui si rende conto di aver risolto un problema, non per il beneficio intrinseco della soluzione.

Un hacker “gode” semplicemente per aver fregato il sistema, non tanto per il fatto che, facendolo, gli sono entrati in tasca 10, 100, 1000 o 10.000 euro.

Non solo: è qualcuno che grazie all’ingegneria inversa risolve problemi che spesso appaiono privi di soluzioni.

C’è molta letteratura al riguardo, ed è scientificamente provato che la creatività può essere allenata. Ma è anche vero che ci sono persone con un’attitudine naturale verso questo tipo di approccio.

E credere che chiunque possa acquisire una mentalità “hacker” partecipando ad un corso, sarebbe come credere che basti seguire la stessa routine di allenamento di Conor McGregor per diventare Campione.

 

C’è qualcosa che un growth hacker non fa, ma che tutti credono faccia?

Le magie!

Spesso le aziende credono che “assumere un growth hacker” o “ingaggiare una growth agency” possa essere la cura di tutti i mali.

Ma la crescita di un’azienda è il frutto di una serie di sforzi congiunti da parte di ogni area dell’organizzazione.

Delegare questo risultato all’operato di una singola persona o team, senza concedere il permesso di ristrutturare la sinergia tra le diverse aree, è semplicemente folle.

Cosa vuol dire “avere il permesso?”

Vuol dire poter modificare il prodotto quando il mercato lo richiede a gran voce. Vuol dire poter modificare una pagina che non converte invece di pensare solo al traffico. Vuol dire poter coinvolgere supporto clienti, venditori, analisti, designer, copywriter, nel processo, per avere un punto di vista cross-funzionale. E vuol dire soprattutto avere il permesso di tentare e fallire, per poter apprendere e fare meglio.

Alla fine è proprio questa la differenza tra un Growth Hacker e qualcuno che semplicemente è un “bravo marketer”. Gli strumenti del mestiere per il Growth Hacker sono le persone, i processi, e solo per ultimi, i tool.

 

Il growth hacker è più spesso una figura interna o esterna all’azienda?

Dipende dal grado di maturità dell’azienda.

Introdurre il Growth Hacking in un’organizzazione è un processo molto complesso, perché è necessario modificare il sistema operativo culturale dell’azienda stessa.

Questo perché un’azienda che non crede nei dati, nella sperimentazione, nell’agilità, nel fallimento come parte del processo e come opportunità di apprendimento, è semplicemente un’azienda su cui il growth hacking non può attecchire.

Per rompere il paradigma esistente e far passare il messaggio, spesso la voce dei dipendenti non basta, anche se loro per primi studiano, propongono e provano a divulgare il growth hacking in azienda. E’ necessario un agente esterno.

Consulenti e Agenzie sono spesso insostituibili come elementi chiave per guidare il cambiamento in un’impresa che fino al giorno prima si è affidata al “Abbiamo sempre fatto così”.

In una fase di maturità successiva invece, diventa importante internalizzare queste conoscenze e queste pratiche. Dedicargli risorse che diventino team full-time sulla crescita o lavorino in sinergia con questi agenti esterni.

 

Quali business si avvantaggiano maggiormente della figura del growth hacker?

Sicuramente le startup.

Infatti questa disciplina nasce proprio in Silicon Valley, dove aziende tecnologiche dalla crescita veloce e dirompente, detta anche blitzscaling, sono all’ordine del giorno.

Questo non significa che la metodologia del Growth Hacking sia valida SOLO per le startup!

Spesso faccio questo esempio: se volessi apprendere le skill più avanzate di sopravvivenza estrema, da chi andresti ad allenarti?
Dai boy scout o dai navy seals?

Ecco, grazie al loro approccio di sperimentazione continua, le startup sono i “navy seals” del navigare l’incertezza dei mercati.

E oramai l’incertezza non riguarda più soltanto chi fa software o inventa cose nuove.

Prendiamo ad esempio l’impatto che la pandemia ha avuto su aziende tradizionali come ristoranti, hotel, organizzatori di eventi, ecc.

Aziende che per anni hanno funzionato in modo certo, si sono ritrovate ad essere da un giorno all’altro aziende che non sanno:

  • cosa vendere
  • a chi vederlo
  • come farsi pagare

Beh, secondo Dave McClure, founder di 500startups, questi 3 punti corrispondono alla definizione di cosa sia una startup. Perciò direi che c’è tanto che il modo di fare di una startup possa insegnare al ristorante di cui sopra.

 

Cosa deve studiare un growth hacker per continuare a migliorare?

La cosa più importante è che cominci (a studiare) e non smetta.

Per poter fare questo mestiere bisogna essere pronti a mettere tutto in discussione, imparare come disimparare, e accettare nuove scoperte che provengono dai dati frutto dei nostri esperimenti.

Per poterlo fare senza innamorarsi delle proprie opinioni bisogna essere sia scettici che umili.

“È sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s’illude di sapere e ignora così perfino la sua ignoranza” – dice Socrate, uno che se avesse fatto consulenza aziendale avrebbe spaccato.

Oltre ad abbracciare la formazione continua, questa professionalità nasce come un ibrido fra diverse discipline, e per questo la contaminazione tra diversi ambiti deve restare centrale!

Uno dei concetti più affermati in merito al bagaglio di competenze di un Growth Hacker, è quello del T-shape. Un professionista con un set di competenze “T-shaped”, ovvero a forma di T, è qualcuno che incarna verticalità così come competenze trasversali.

Il primo livello di competenze è quello delle skill ad alto livello. Competenze che non è necessario approfondire, ma è importante conoscere a livello di linguaggio e di fondamentali.

Ad esempio Statistica, Programmazione, Psicologia.

Il secondo livello di competenze è quello delle skill “evergreen” ovvero sempre valide nel tempo. Competenze che 40 anni fa, così come tra 40 anni, ti renderanno lo stesso un professionista rilevante nell’ambito del Marketing.

Parliamo del Copywriting, l’Analisi dei Dati o il Project Management.

Il terzo ed ultimo livello è quello delle skill di canale. Competenze verticali e pratiche che riguardano l’operatività sulle varie piattaforme. Queste sono le competenze tecniche, ed è importante padroneggiarne almeno un paio.

Ad esempio Google Ads, realizzare Landing Page o la SEO.

Quello che consiglio è di mappare le proprie competenze lungo questa “T”, e poi investire in formazione per completarla il più possibile senza rinchiudersi nella propria zona di comfort.

Il resto lo si impara e approfondisce sul campo : )

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