Perché è difficile trovare collaboratori

Recentemente vi ho parlato dei licenziamenti di web writers e dei possibili risvolti nefasti prodotti dalla diffusione di ChatGPT nel mercato dei contenuti. Oggi vorrei capovolgere completamente la prospettiva è raccontarvi un altro fenomeno, quello delle agenzie di comunicazione e delle aziende più in generale, che non riescono a trovare collaboratori per la produzione di contenuti.

digitorrea
digitorrea

È un fenomeno complesso che può avere diverse cause su cui posso solo provare a lanciare ipotesi. E perché no, cominciamo subito. Trovare collaboratori è difficile perché:

Quelli bravi sono sempre impegnati

Questa non è un’ipotesi, ma un dato di fatto che riguarda tutti i campi. Quale che sia l’ambito, se uno riesce a dimostrare di produrre (molto) valore, avrà sempre la strada spianata e i clienti alla porta, quindi per un’agenzia sarà difficile accaparrarsi le “penne” migliori, salvo proporre offerte irrinunciabili. E in questo caso come direbbe Bastianich, ogni persona ha il suo prezzo.

La paga è inadeguata

Questa seconda ipotesi deriva dalla prima, pur non riguardando l’elite dei web writers, ma tutti gli altri, che cadrebbero vittime di una propensione generale al ribasso rispetto ai compensi per chi scrive. Mia mamma mi diceva di studiare, così sarei diventato giornalista e mi sarei messo a posto, ma effettivamente per essere “a posto” oggi come giornalista, devi essere come minimo Peter Gomez, altrimenti se ti va bene, prendi uno stipendio da galoppino per vent’anni e se ti va male prendi 2 o 3 euro ad articolo fin quando ce n’è. Benvengano a questo punto le tecnologie a intelligenza artificiale che fanno perdere “opportunità” di lavoro a chi viene pagato in questo modo. Magari invece di regalare il proprio tempo ci si industria per fare altro di più sensato, tipo aprire un giornale tuo e provarci. Insomma, capita certamente che a lamentarsi del fatto che non si trovano collaboratori siano persone che non vogliono pagare il giusto o che non possono permetterselo.

A tal proposito, Fabio Antichi ha riportato uno studio secondo cui, per giustificare uno stipendio da 1.600 euro, un dipendente dovrebbe produrre per l’azienda in cui lavora 15.000 euro di fatturato al mese. Io temo sia così e che c’è evidentemente qualcosa che non torna nel così detto “cuneo fiscale”.

Nota a margine: se da dipendente di un’agenzia di comunicazione sapessi di produrre fatturato per 15K a fronte di un compenso di 1.6K, mi metterei immediatamente in proprio accollandomi volentieri le responsabilità di gestire tutto da solo. Tante grane, ma in pochi mesi arriverei senz’altro a raddoppiare il mio compenso netto e cosa più importante (almeno per me), il mio tempo non apparterrebbe ad altri. Ma vabbè, non deve essere per tutti.

Laggente non ha voglia di fare niente

Lascio quest’ipotesi per ultima, perché è quella che mi piace di meno. Non voglio credere all’idea che le agenzie serie abbiano difficoltà nel reclutare risorse, per via del fatto che i web writers non hanno voglia di mettersi in gioco, eppure mi dicono che sia questo il problema, dando la colpa alla confusione generata dai guru che vendono video corsi dagli alberghi di Dubai, ai social che stordiscono e distorcono la percezione delle cose e all’intelligenza artificiale che rimescola pericolosamente le carte.

Ai copy verrebbe richiesto di adeguarsi alle logiche procedurali aziendali, ma questi si rifiutano, perché vogliono più libertà, salvo però avere paura di prendersela sul serio e scivolare lentamente nell’immobilismo, facendo ristagnare un mercato in cui quelli bravi, quelli “adatti”, non sono in numero sufficiente a rispondere al fabbisogno di operatività.

Non è che manchi la voglia di lavorare, è che non si è ancora capito che lavoro si vuol fare, complici le comunicazioni patinate di chi racconta storie meravigliose di successo, facendo sembrare tutto facile.

Se quest’ultima ipotesi è vera, abbiamo un esercito di giovani affetti da “digitorrea”, un termine che temo di essermi inventato per descrivere le sabbie mobili in cui finiamo quando riceviamo troppi stimoli dal web. In questo caso la medicina è solo una: fare. Fare qualcosa, qualunque cosa, anche e soprattutto cose che non portano a niente di buono, ma per carità, evitare di star lì ad affondare.

Soprattutto di questi tempi.

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