Identità visiva, come sta cambiando?

Igor Grassi

Igor Grassi

Igor Grassi è un graphic designer molto conosciuto nel settore agroalimentare. Se segui questo blog sai che ultimamente mi sono fatto alcune domande sul “mestiere” del grafico, che per alcuni operatori di settore è in difficoltà.

Occorre avere il coraggio di capire che qualunque cosa è grafica, solo così è possibile ripensare un mestiere sempre più concettualizzato sulle dinamiche interattive. Troppo contorto? Decidilo tu. 🙂

 

Ciao Igor, ci racconti quali sono i tuoi attuali focus lavorativi?

Attualmente mi occupo principalmente di packaging ed identità visiva per aziende che operano soprattutto nel settore agroalimentare. Significa fondamentalmente bere un sacco di vino e mangiare cose buone ad ogni piè sospinto con buona pace del peso forma. Premetto che di base non è stata una mia decisione strategica; le cose hanno iniziato a girare in questo senso quando le piccole aziende hanno ottenuto una visibilità prima inimmaginabile senza i social media e l’online in generale. La necessità di competere a livello visivo ha portato anche la committenza più piccola a dovere (e aggiungo finalmente) considerare la comunicazione visiva come un importante componente della loro attività. Da qui la volontà di investire anche e soprattutto sull’immagine di prodotto.

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Come è cambiato il mestiere del “grafico” negli ultimi 20 anni?

Completamente. A parte l’ovvia rivoluzione tecnica, il Grafico è gradualmente diventato un consulente per l’identità visiva. Erik Spiekermann dice che «il designer è passato da puro progettista grafico a curare anche gli aspetti più legati alla comunicazione in generale e quindi a dover considerare anche elementi che non sono legati alla grafica in senso stretto e questo lo porta a confrontarsi anche con il suono, il movimento ed il tempo». Spiekermann mi perdonerà ma io aggiungerei anche le interazioni. Ciò è tanto vero sia per un’agenzia che ha a che fare con grandi marchi che per un freelance che si trova a dover gestire la comunicazione per piccole aziende. Questo ragionamento, che da una parte porta alla ricerca di una sempre maggiore specializzazione nel proprio settore e nel conseguente abbandono di altri aspetti del mestiere, come il disegno per il web o la progettazione di poster per eventi o enti che fino a qualche anno fa erano importantissimi, forza sempre di più chi si occupa di comunicazione visiva a confrontarsi costantemente con le numerose e multimediali incarnazioni del proprio progetto.

Oggi progettare la comunicazione visiva di un’azienda non significa più realizzare segni grafici e strette linee guida di utilizzo ma gestire attorno ad un nucleo di segni, informazioni e valori “intoccabili”, (che restano tali solo grazie alla credibilità, alla riconoscibilità del cliente e alla perizia dell’esecuzione), un flusso di immagini e idee che sappiano essere permeabili alle interazioni senza perdere la propria voce.

Il cambiamento più eclatante è quindi non solo lo spostamento, sempre più marcato sul piano visivo e progettuale, dei confini tra i designer professionisti e quelli non professionisti ma soprattutto quello tra i produttori e i consumatori. L’utilizzo di piattaforme media di condivisione e collaborazione nonché la diffusione capillare di app e software per la manipolazione delle immagini sta facendo breccia nella cosiddetta “industria creativa”. Oggi neologismi come prosumer (professional and consumer), produser (producer and user) e produsage marcano quanto un artefatto grafico sia soggetto e oggetto di milioni di possibili modifiche, cambiamenti e interazioni anche da parte di chi non ha mai avuto accesso a una educazione visiva in senso classico. Il mestiere del grafico, che non è mai stato quello di creare contenuti, ma casomai quello di configurare spazialmente informazioni, diventa a causa di queste nuove forme di partecipazione un po’ più difficili ma molto più esaltante.

Quello che non è cambiato è la necessita di un approccio intelligente e curioso, un’attitudine allo studio e soprattutto lo sforzo di una coerenza etica. Per quanto mi riguarda ho sempre in mente le parole di Albe Steiner: «Grafici che sentano responsabilmente il valore della comunicazione visiva come mezzo che contribuisce a cambiare in meglio le cose peggiori. […] Grafici che sentano che la tecnica è un mezzo per trasmettere cultura e non strumento fine a se stesso per giustificare la sterilità del pensiero o peggio, per sollecitare inutili bisogni, per continuare a progettare macchine, teorie, mostre, libri e oggetti inutili».

 

Perché oggi si parla di crisi nel tuo settore? Che mestiere fa il grafico in crisi?

Dalla mia finestra il settore non è in crisi. Ma del resto io posso avere solo l’idea di come i miei clienti percepiscono il nostro lavoro. Sembra una bestemmia ma tutto è grafica, dal biglietto del treno al marchio di prodotto di un’azienda globale, ai titoli di una serie tv, alla testata di un evento su Facebook, al biglietto di auguri che scriviamo per la comunione della nipotina. Ci saranno sempre nicchie più o meno grandi in cui la consulenza di un professionista preparato sarà indispensabile. La specializzazione non è un male, soprattutto tenendo conto che specializzarsi in un ambito o settore non vuol dire farlo per sempre, e la grafica, come la stiamo intendendo, è un ambito enorme. Oggi facciamo etichette di vino su carta, fra un po’ non si faranno più e studieremo come proiettare immagini telepatiche. Sarà comunque grafica.

 

L’immagine serve a vendere o a raccontare?

Serve ad informare: con chiarezza, qualche volta con ironia, qualche altra con strafottenza. Questo sarebbe l’ideale. L’idea dello storytelling nella comunicazione visiva applicata ai nuovi media è abbastanza strana. Oggi si parla di database narrative, che forse è la cosa più vicina alla realtà odierna: una scelta di un percorso, fra i vari possibili, che definisce una narrazione formata da mattoni pluri-mediali. Sembra a prima vista un modello di narrazione che lascia tanta libertà all’utente ma che in realtà è costituito da blocchi definiti all’interno di uno stesso sistema culturale.

L’immagine dovrebbe essere uno dei blocchi (quello più sincero), non il racconto. Questa forse è un’altra storia.

 

Come tenersi aggiornati nel tuo settore? Hai letture da consigliarci?

Sicuramente Design Observer (http://designobserver.com), Quipsologies (http://www.underconsideration.com/quipsologies/,) un po’ di pagine Facebook, in primis quella dell’AIAP,  (https://www.facebook.com/AIAPdesigndellacomunicazionevisiva/ ) poi i libri della collana Scritture di Stampa Alternativi e Graffiti (http://www.stampalternativa.it/collana.php?stato=Y&collana=scritture), tutte le storie che vi va di leggere e “La Città e le Stelle” di Arthur C. Clarke.

 

Cosa suggeriresti a chi vuole intraprendere il tuo mestiere?

Non prendersi troppo sul serio, immaginare strade diverse, fare errori, farsi correggere i refusi.

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